Cosa sono e come si sviluppano le nostre attitudini

Cosa sono e come si sviluppano le nostre attitudini?

Parlando di attitudini il primo pensiero che mi è passa per la mente è: “Sarà chiaro a tutti cos’è un’attitudine?”. Dunque, direi che vale la pena fare chiarezza sul termine.

Definizione: Predisposizione per una particolare attività mentale o fisica.

Sinonimi: Vocazione, inclinazione, talento, propensione, abilità naturale.

Esempi: Avere attitudine per lo studio, per il disegno, per la precisione, per l’insegnamento.

Attitudine vs Capacità / Abilità / Competenza

Il termine attitudine può essere confuso con quello di capacità, abilità, competenza invece c’è differenza tra questi concetti pur restando una “connessione” con il termine principale.

  • Capacità ovvero possesso delle qualità necessarie a fare qualcosa. La sensibilità, la manualità, la fantasia, l’intelligenza, la creatività, accanto a tante altre, sono le capacità di base che, partendo dalle attitudini, si formano attraverso l’istruzione, la formazione e l’educazione.
  • Abilità ovvero destrezza raggiunta in un’attività mediante esercizio, sfruttando attitudini e affinando capacità. Un abile artigiano si prepara per anni avvalendosi delle attitudini, delle capacità di manualità, intelligenza e creatività.
  • Competenza ossia possesso delle conoscenze e delle abilità necessarie per svolgere nell’eccellenza una determinata attività. È competente l’ingegnere che possiede al livello di eccellenza le conoscenze scientifiche, matematiche e tecniche del suo campo assieme alle abilità progettuali e operative di settore.

Unicità della Persona

Dunque l’attitudine (dal termine latino medievale aptitudo -ĭnis, da aptus “adatto”) indica un’inclinazione o una predisposizione, una capacità potenziale di svolgere determinate attività che si manifesta solo se trova le giuste condizioni esterne (ovvero collegate all’ambiente = contesto + relazioni) e condizioni interne (motivazionali) che ne permettono il palesarsi, l’esprimersi.

Non dimentichiamo che ogni persona rappresenta un’unicità, una combinazione unica e irripetibile che racchiude un potenziale altrettanto unico che attende di essere scoperto, trasformato in risorsa e quindi agito, utilizzato e allenato.

“Se un giorno non mi esercito, il giorno dopo me ne accorgo subito, dopo tre giorni se ne accorgono tutti”.
(Uto Ughi, violinista)

Ecco che quando le attitudini e quindi le potenzialità caratterizzanti di un individuo sono costantemente allenate, esse si trasformano in risorse, in possibilità di agire volontariamente andando a incidere positivamente sulla propria autorealizzazione.

Attitudine e Ambiente

Abbiamo visto prima come lo sviluppo delle proprie attitudini e quindi delle proprie potenzialità dipenda inevitabilmente dall’ambiente in cui la persona vive, opera, si muove. Ecco che un ambiente lavorativo favorevole può favorire il processo mentre un ambiente sfavorevole può ostacolare il medesimo processo (questo accade sia nell’ambiente lavorativo che in quello familiare, associativo, ecc).

Per ambiente intendiamo la somma di contesto e relazioni. Ecco che un contesto lavorativo particolarmente rigido può non aiutare, così come l’esistenza di relazioni disfunzionali all’interno dell’ambiente in questione. Questo ci dice che due persone con potenzialità e attitudini simili posso “fiorire” diversamente in funzione dell’ambiente che le ospita.

Per questo, anche in ambito aziendale, vale sempre la pena chiedersi e interrogarsi su che tipo di ambiente si è creato e se questo sia funzionale o meno all’evoluzione di chi vi opera.

Attitudine latente

Generalmente l’attitudine tende a rivelarsi e tende a farlo precocemente, anche se, in mancanza di una possibilità pratica di espressione, può restare latente per tutta la vita oppure può tornare latente se per qualche motivo non viene ascoltata e coltivata.

“Le attitudini pretendono di essere sfruttate e cessano di protestare solo quando vengono adoperate in misura sufficiente. Vale a dire che sono bisogni e pertanto anche valori intrinseci”.
(Abraham Maslow, psicologo statunitense esponente di spicco della cosiddetta “Psicologia Umanistica” e conosciuto per la famosa Piramide dei Bisogni)

Cosa significa questo? Che l’impossibilità di dare sfogo alle nostre attitudini ha delle ripercussioni psico-fisiche, ovvero a lungo andare se nascondiamo a noi stessi chi siamo e cosa ci fa stare bene non facciamo altro che tappare una pentola che bolle.. se il coperchio è chiuso ma non è ermetico (quindi se in qualche modo diamo un minimo di sfogo alle nostre attitudini, nel tempo libero, in famiglia, ecc) la manifestazione di questo malessere sarà parziale. Mentre se il coperchio della pentola è ermetico (quindi non riusciamo in nessun modo a dare sfogo alle nostre attitudini, che sono bisogni) finiremo per manifestare disagi prima a livello psichico e poi anche a livello fisico. Questi disagi altro non sono che dei segnali, dei campanelli d’allarme che ti consiglio di ascoltare e valutare attentamente.

Pratica e Sviluppo

Restando sui concetti appena trattati, se gli obiettivi che decidiamo di perseguire (in ambito lavorativo, personale, familiare, ecc) sono in sintonia con le nostre attitudini, allora sarà più facile raggiungerli.
Inoltre sviluppare le nostre attitudini attraverso una pratica allineata con esse ci porta, come effetto diretto, a stabilire progressivamente mete sempre più ambiziose. Ciò avviene perché ci sentiamo più preparati per raggiungerle (ovvero perchè aumenta il nostro senso di autoefficacia). Al contrario, se l’obiettivo non è in sintonia con le nostre attitudini, aumenta il rischio di fallimento. Le conseguenze portano a frustrazione e al desiderio di abbandonare il proposito.

Infine se la meta che decidiamo raggiungere, è allineata, ma nel contempo è troppo facile da raggiungere, non ci viene offerta la possibilità di sviluppare le nostre attitudini e quindi la abbandoniamo perchè diventa noiosa. Ciò ha a che fare con la Teoria del Goal Setting di Edwin A. Locke e Gary Latham e in particolar modo con uno dei modulatori di autoefficacia che fanno capo a questa teorizzazione: quello che parla del senso di sfida. Se un obiettivo è troppo sfidante rischiamo di fallire in continuazione e questo pian piano mina il nostro senso di autoefficacia tanto che ci porta a desistere. Idem se l’obiettivo è troppo semplice/banale perchè in quel caso diventa “noioso”.

Gli obiettivi non solo devono essere allineati con le nostre attitudini ma devono avere anche il giusto livello di sfida e ce ne accorgiamo tutte le volte che facendo qualcosa entriamo nello stato di flow (o di flusso): uno stato un cui stiamo bene nel fare ciò che facciamo, ci sentiamo “pieni” e soddisfatti e la dimensione temporale si modifica a tal punto che 5 ore ci sembrano passare in 5 minuti. Ecco nello stato di flusso stiamo mettendo a frutto il nostro talento e ci stiamo misurando con un obiettivo che ha il giusto grado di sfida, quindi che ci motiva al punto giusto.

Coaching come strumento di allenamento

E il Coaching in tutto questo? Beh il Coaching è un metodo pragmatico che lavorando per obiettivi permette alla persona, tra le altre cose, di guardare da vicino e allenare le proprie attitudini.

Il mio approccio di Coaching, l’approccio che vi propongo è proprio questo: un approccio volto allo sviluppo delle potenzialità intrinseche della persona, una presa di consapevolezza di sé e della propria unicità che porta il singolo o il gruppo a fare scelte autodeterminate e responsabili nella direzione di un maggior benessere e una maggiore efficienza ed efficacia.